“Quando si calpesta la terra e la si guasta si guasta anche la nostra salute. Spero arrivi una generazione che smetta di cavare tutto il sangue possibile da questa terra, ripari i danni commessi da noi e ci maledica”.
Il tema dell’ambiente è da sempre molto caro allo scrittore Erri De Luca. La natura ricorre spesso nei suoi testi e all’amore per “ciò che circonda” ha legato un impegno politico e sociale. Per questo motivo è stato uno dei trentuno autori invitati a partecipare a Le Parlement sensible, un’iniziativa della Maison des écrivains et de la littérature, pensata per la XXI Conferenza sui cambiamenti climatici. Agli autori è stato chiesto d’interpretare con un componimento il tema del riscaldamento globale e delle sue minacce, allo scopo di utilizzare la letteratura per scuotere le coscienze sull’emergenza ambientale.
De Luca ha presentato il suo testo a Roma, a Villa Medici, durante il quinto appuntamento de I giovedì della Villa – Questions d’art, dove lo abbiamo incontrato.
Partiamo dalla domanda che ha mosso l’iniziativa alla quale ha partecipato: cosa può fare la letteratura per sensibilizzare sui cambiamenti climatici?
“La letteratura può raccontare delle belle storie, questo è il suo compito, non deve fare niente di più. In quanto scrittore ho però una possibilità: dare voce a quelli che non ce l’hanno. Non perché siano muti o ammutoliti, ma perché non li ascolta nessuno, perché ufficialmente non esistono o esistono solo quando hanno qualche scatto di collera. Uso la mia voce per mandare più lontano le loro parole”.
La conferenza di oggi doveva tenersi originariamente un anno fa, in occasione della Cop21. Sono sufficienti, secondo lei, le misure prese nell’accordo di Parigi?
“L’accordo di Parigi è un accordo che promette impegno, meglio che niente. Ma quello che si può fare davvero per rinfrescare il pianeta è partire dal basso, dalla volontà di non farsi più calpestare la salute. Perché quando si calpesta la terra e la si guasta si guasta anche la nostra salute”.
Un impegno è richiesto anche alle nuove generazioni. Lei spesso è chiamato a parlare nelle scuole. Trova che ci sia disinteresse o comunque una scarsa percezione del problema da parte dei giovani?
“La percezione del problema è chiara. Siamo una specie umana sperimentale, stiamo subendo delle aggressioni chimiche, radiazioni, che nessuna generazione prima della nostra ha dovuto sopportare. Moriamo, resistiamo, creiamo anticorpi, ci guastiamo per queste aggressioni misteriose che cerchiamo d’identificare. Ai giovani toccherà la stessa sorte, ma spero arrivi una generazione che inauguri ‘l’economia della riparazione’. Perché non è detto che il profitto stia solamente nel guastare questa terra e cavarle tutto il sangue possibile, per poi buttarla via. Esiste la possibilità per l’economia di riparare i danni commessi. Nascerà per forza una generazione che sarà costretta a farlo”.
Territorio e ambiente sono spesso al centro di speculazioni, specie in Italia dove la criminalità organizzata è molto radicata. Il timore di infiltrazioni mafiose è uno dei cavalli di battagli dei detrattori del ponte sullo Stretto di Messina. Lei cosa ne pensa?
“L’infiltrazione mafiosa sarebbe solo un accidente in più. Il Ponte di Messina non esiste ed è già costato 300 milioni dei soldi dei contribuenti. Ci sono centinaia di opere pubbliche in questo paese che non solo non vengono portate a termine, ma che portate a termine non vengono utilizzate. È come se ci fosse un modello di sviluppo che tende a spendere il denaro pubblico per dare soldi alle imprese che sono legate ai partiti. Di questo si tratta. Siamo il paese più corrotto d’Europa, non c’è niente da fare. Commettiamo crimini di guerra in tempo di pace. Dunque io devo per forza sperare in una generazione nuova, che ci maledica”.
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