Una lava di umanità inghiottita dal demone del cellulare. Tutti ne sono schiavi, me compreso me
Conservare il telefono fisso nella propria casa, come nella bottega artigiana e commerciale, è bello. Si guadagna in libertà, indipendenza e salute. Nel commercio dovrebbe essere obbligatorio; il pretesto per toglierlo che il fine sia “per meno spendere” è una finta giustificazione: in realtà vuoi aprire sempre più le porte del tuo esistere alla pervasività totale del telefono mobile, che di te a poco a poco si prende tutto. Chiamarlo telefono è una convenzione sviante: è un sospendersi ad interspazi apparentemente disanimati senza più poter fare a meno di quella comunicazione integralmente passiva alla quale partecipa, evocato insieme al numero, un mondo oscuro di milioni di ascolti muti. Meglio esserne incoscienti e consentire giulivamente a questa universale, semigratuita forma di tossicodipendenza.
La gioventù e l’infanzia, la politica in toto, la delinquenza, le donne: tutta questa lava di umanità consumatrice di ciberspazio è ormai, quasi dovunque, stata inghiottita. Guardate il Saturno di Goya mostruosamente divorante i figli e avrete un’idea iconografica di ciò che rappresenta la dipendenza da uno o più cellulari. Non puoi pensare a rinunciare ad averlo senza che ti prenda il panico. Io ho resistito per anni: adesso dubito che possa liberarmene la Morte stessa. Perché il campo magnetico si estende al di là delle mura dell’esistenza materiale, dove ci hanno lasciati vedovi e orfani le metafisiche religiose.
Nessun uomo politico potrà mai parlare in nome di una nazione libera e da uomo interamente, o anche passabilmente, libero. Infatti parlano tutti a vanvera e li vedi quasi sempre con quell’arnese incollato all’orecchio in cui sgocciolano i nostri incessanti Okey. Il fisso ti radica nel nostro mondo, non ti sparpaglia nei troppi ignoti. Dall’altro, almeno si riuscisse a tener lontani i bambini; è un terribile tagliatore di ali d’angelo, l’ombra del Mörder di Fritz Lang sulla piccola Elsie alla quale compera il palloncino. Aveva pienamente ragione Heidegger quando nel 1966 gli fece la famosa intervista lo Spiegel, che vale la pena rileggere: Solo un Dio può salvarci.
Tratto da: Guido Cerotti, Il Filosofo Ignoto
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