Eh, sì. Sarà amaro constatarlo, ma è così. Forse tra qualche anno la situazione cambierà, nella stretta di una irresistibile fatale Necessità, ma per ora… Ad una richiesta di Carlo Petrini, fatta a quattrocentocinquanta giovani, quanti di loro avrebbero desiderato dedicarsi all’agricoltura, due soli diedero risposta positiva: due soli. Se saranno stati un ragazzo e una ragazza, era un’eccellente occasione per formare una coppia ben motivata da un ideale autentico, e recitare insieme, venuta sera, sullo sfondo del campo di patate a perdita d’occhio, il ringraziamento dell’Angelus di Millet.
Gli altri quattrocentoquarantotto chissà che cosa mangeranno, nelle farneticanti pause-pranzo aziendali e nelle cene al settimo piano dei condominii dell’Hinterland, coi loro figli abbrutiti dai videogiochi, dalle cuffie sonore e da cinque-sei ore di Rete.
Siamo tanti e siamo troppi (e di troppo) sul pianeta usurato. Di terra fertile ne resta poca. All’inizio del Novecento, Seul faceva centoquarantamila abitanti: oggi sono quattordici milioni. In buona parte, è gente che viene dalla terra, dai villaggi agricoli, e che trova e compra tutto in immensi supermercati, e l’Angelus non gli compare davanti neppure nei calendari.
Quando sto facendo la fila ad una cassa di supermercato, con qualche prodotto in vendita negli scarsissimi banchi del biologico, vedendo quel che la gente, le coppie, le famiglie, sciorina davanti al ròbot-cassiera, resto esterrefatto. I loro carrelli sono pieni all’inverosimile di bruttezza alimentare messa dentro senza il minimo discernimento, tutto suggerito occultamente dal Marketing aziendale, allo scopo di impinguare spropositamente l’incasso. Chi percorre i reparti non sa che cosa comprerà, non ha nulla in mente (e se ci avesse qualcosa non sarebbe più manipolabile), ma l’orientamento è opera della Merce esposta, e sono moltitudini di mani eccitate dall’odore della spesa che si allungano e buttano giù, nel carrello; e adesso via, al banco successivo, carciofi, tovaglioli, acqua nella plastica, pannolini, mele e pere nate chissà dove e come, banane verdastre ecuadoregne, caffè, olio dove c’è scritto «d’oliva», cavolfiori senza stagioni, pomodori antartici, pesce al mercurio, confezioni di pollo dalla nudità oscena, di prosciutto che risolverà sei cene su sette, comparendo in tavola insieme all’insalata già lavata e pronta. Non mancano ravioli, cappelletti, tortellini, ragù, pasta devitalizzata più di un molare, piatto promozionale in regalo… L’elenco non finirebbe più. Se entrando non avevano idea di quel che avrebbero comprato, all’uscita potrebbero decidere, invece di andare a casa a sbucciare dalla plastica il prosciutto, di cenare in pizzeria dove sul conto lo stesso prosciutto plasticato avrà prezzo triplicato.
L’Italia è uno dei pochi paesi d’Europa che produce ortofrutticolo fresco, cereali e uve da pasto. Ma in gran parte questa fonte della vita è controllata dalle organizzazioni criminali, che sono, per il cibo, all’apice dell’espressione tangibile della loro malvagità, anche di una fondamentale, sanguinaria idiozia. L’ecomafia, che intossica terreni e falde, pascoli e città nel Mezzogiorno, non salva neppure le proprie venerate famiglie dagli avvelenamenti che diffonde: la mozzarella inquinata dal papà va anche sul piatto di spose, madri, bambini. Il pomodoro insudiciante discariche e fiumi, lavoro di schiavi, tassato dagli antiparassitari e cresciuto su strati di diossina, finisce nelle conserve e nei pelati delle pizze margherita e altre salse italiche adorate dai turisti di Tokyo e di Pechino. Guarda certe facce di giovani nordici o americani, ti vien voglia di recitare più il miserere che l’alleluia. Non sono in grado di comprendere dove li conducono. In termini materiali spicci: all’abbondanza che fatalmente traboccherà in deserti di fame e sete.
La complicità dei governi e dell’Unione Europea, nella colossale frode alimentare (di cui non conosciamo che il poco non del tutto occultabile) non condirà di ilare questi panorami di futura tristizia.
Italia o continenti, è ormai tutt’uno, con differenze di gradi di disperazione e di sfacciataggine. Ma ce n’è per tutti. Di quale «libertà di scegliere» parliamo?
Da un buon mezzo secolo mi occupo della questione ecologica: mi torco inutilmente nell’impotenza della parola di persuadere un minimo di buon senso coi suoi avvertimenti, vorrei adesso tardivamente ma con un po’ più di speranza pensare ai problemi (non a quelli astrofisici) del cielo.
Ci salverà – poiché il Messia sta sempre venendo o a volte lascia messaggi inascoltati nelle segreterie telefoniche – quella coppia superstite di giovani naufraghi che ha intravisto la pena del mondo, ha avuto pietà di questa sconciata Italia, si è ricordata (forse) di Alex Langer, e intrepidamente ha risposto a Petrini che intendeva dedicarsi per il resto dei giorni all’agricoltura?
Un campo basta a un re, dice Qohélet. Quella coppia di giovani eccezionali è dunque un segno: una voce messianica nella segreteria.
Tratto da: Guido Ceronetti, Tragico tascabile