Il Re Salomone implorava l’Altissimo di concedergli un cuore intelligente. Alla fine di un secolo devastato dai delitti incrociati dei burocrati ( ovvero di un’intelligenza unicamente strumentale ) e degli ossessi ( ovvero di un sentimentalismo rozzo, binario, astratto e sovranamente indifferente ai destini individuali, alla loro singolarità e fragilità ), la preghiera per ottenere la sagacia affettiva conserva, come ha già osservato Hannah Arendt, tutto il proprio valore. Dio però tace. Ci guarda, forse, ma non ci risponde, non esce dal silenzio in cui se chiuso, non interviene nelle nostre vicende. Malgrado gli sforzi per immaginarci come Dio impieghi il tempo, e convincerci sul suo attivismo, Egli ci abbandona a noi stessi. Se vogliamo ricevere risposta, non è a Lui direttamente, né alla storia, moderno avatar della teocidea, che dobbiamo rivolgere la nostra domanda, bensì alla letteratura, forma di meditazione che non offre garanzie, ma senza la quale ci sarebbe per sempre preclusa la grazie di un cuore intelligente . Senza letteratura, potremmo forse conoscere le leggi della vita, ma certo non la sua giurisprudenza.
Tratto da: Alain Finkielkraut, Un cuore intelligente