Gridava così forte Mirabeau che Versailles ebbe paura. Dalla caduta dell’impero romano, mai una simile tempesta s’era abbattuta sugli uomini, le passioni in spaventose ondate s’innalzavano fino al cielo. La forza, l’entusiasmo di venti popoli insorgevano dall’Europa, sventrandola. Un turbinare, dappertutto, di esseri e di cose. Qua, bufere d’interessi, di vergogne e d’orgogli; là conflitti oscuri, impenetrabili; sullo sfondo, sublimi eroismi. Tutte le potenze umane tra loro mischiate, scatenate, furiose, avide d’impossibile, correvano lungo le vie e le carreggiate del mondo. Nella schiuma sanguinosa delle sue disparate legioni la morte urlava; dal Nilo a Stoccolma e dalla Vandea fino alla Russia, cento eserciti contemporaneamente fecero appello ad altrettanti motivi per essere feroci all’estremo. Le frontiere sbullonate, incorporate in un immenso Regno di Frenesia, gli uomini ingordi di Progresso e il Progresso assetato d’uomini, ecco che cosa quelle enormi gozzoviglie furono. L’umanità, che moriva di noia, arse un po’ di divinità, cambiò d’abito, servi alla Storia qualche novità di gloria.
E poi, la tormenta placata, le grandi speranze per qualche secolo risepolte, ognuna di quelle furie, partita suddita per la Bastiglia ne tornò cittadina e diluì verso le proprie miserie, spiando in casa del vicino, abbeverando il proprio cavallo, digerendo i suoi vizi e le sue virtù entro il sacco di pelle pallido che il Buon Dio ci ha dato. Nel Novantatre ci si rifece su un re. Precisamente lo si immolò, in piace de Grève. Dal suo collo mozzo sprizzò fresca emozione! — l’Uguaglianza. Tutti ne volevano, fu una mania…
Tratto da: LOUIS-FERDINAND CÉLINE, La Vie et l’oeuvre de Philippe Ignace Semmelweis (1924)