George Washington Carver nacque intorno al 1864, nel bel mezzo della guerra civile americana, in una povera capanna di una fattoria nel sud degli Stati Uniti. Non conosciamo il giorno della sua nascita. “Piacerebbe molto anche a me conoscere l’esatta data della mia nascita”, racconta, “ma a quel tempo, nessuno si curava di registrare i dati di un bambino nato da genitori schiavi e il mio caso non faceva eccezione”. Essere schiavo negli stati del Sud nel 1864 voleva dire non possedere nulla, letteralmente. Neanche un nome. George Washington Carver era infatti, più correttamente, George Washington di Moses Carver, un agricoltore del Missouri di media agiatezza che era proprietario della madre di George.
L’avventurosa esistenza di Carver, che già non era iniziata bene, come schiavo e figlio di schiavi in una fattoria del profondo sud degli Stati Uniti, sembra destinata rapidamente a peggiorare quando, neonato di appena sei settimane, è rapito insieme alla madre e a una sorella da un gruppo di razziatori, dedito, indistintamente, alla sottrazione di bestiame e schiavi, e venduto in Arkansas. Fortunatamente Moses Carver è un padrone premuroso e soprattutto non sopporta che qualcuno gli porti via qualcosa che gli appartiene. Così si mette alla ricerca dei razziatori, li trova dopo poche settimane e dopo una rapida contrattazione ottiene che George possa essere riscattato in cambio di un cavallo da corsa del valore di 300 dollari; della madre e della sorella, invece, non si saprà più nulla.
Quando ci si affaccia alla vita con un inizio così burrascoso come quello che era toccato in sorte a George Washington Carver e, nonostante tutto, oltre che sopravvivere si mantiene inalterata la propria voglia di conoscenza e una generale fiducia verso il prossimo, vuol dire che si è fatti di una pasta speciale. E che la pasta di cui era fatto questo nero figlio dell’America fosse di prima qualità, George Carver continuò a dimostrarlo dal primo all’ultimo giorno della sua lunga e gloriosa vita.
Per circa dieci anni dopo l’emancipazione,2 George rimase nella fattoria di Moses Carver sviluppando a contatto con la natura quel forte interesse per le piante che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Ricorderà più tardi:
Giorno dopo giorno, passavo il tempo libero nel bosco a raccogliere le mie bellezze floreali e a coltivarle nel mio giardino… Strano a dirsi qualunque tipo di pianta sembrava prosperare sotto le mie cure. In breve tempo fui conosciuto come il dottore delle piante, e piante provenienti da tutta la contea erano portate nel mio piccolo giardino perché io le curassi.
La pittura e la musica erano gli altri due interessi di quei giorni di “disordinato desiderio di conoscenza”.
George desidera apprendere; con pochissimi aiuti impara a leggere e padroneggia la lingua e la grammatica.3 Ma non è soddisfatto di questo studio senza metodo, sente che gli è necessaria un’educazione più regolare.
Decide, quindi, di frequentare la piccola scuola rurale a circa 15 chilometri dalla fattoria, nella vicina città di Neosho, senza che i Carver pongano alcun ostacolo alla sua partenza, ma anche senza ricevere da loro alcun aiuto economico. All’età di poco più di dieci anni, e senza un soldo in tasca, George inizia il lungo e faticoso viaggio verso un’altra vita. Attraversando campi, risalendo colline, scavalcando siepi e staccionate, raggiunge finalmente Neosho, città sconosciuta, in una tarda serata del 1875. Per la prima volta solo e lontano dalla fattoria, il giovane George deve superare ostacoli e difficoltà di ogni genere. In primo luogo, è completamente senza denaro. Non solo. Come ricorda lui stesso, “non possedevo un solo centesimo, non conoscevo nessuno e non avevo un posto dove passare la notte”. In questa precaria situazione George elegge a sua abitazione un vecchio fienile e si arrangia ottenendo lavoretti che gli garantiscono la sopravvivenza. In condizioni difficili, senza dimora, solo e soggetto per sopravvivere a lavori molto stancanti, il ragazzo riesce a frequentare con profitto la scuola di Neosho, che a giudicare da quel che racconta non doveva essere un granché:
L’insegnante non era preparato. L’edificio scolastico era una semplice capanna di legno, poco ventilata d’estate e terribilmente fredda d’inverno. I banchi erano così alti che i piedi degli alunni non toccavano mai il pavimento, e non c’erano spalliere su cui appoggiarsi. Tutto l’apparato scolastico era sconosciuto lì. Direi che ogni inconveniente che l’immaginazione può descrivere, esisteva in quella scuola.
E tuttavia, sono sufficienti quella piccola scuola rozzamente costruita e un insegnante inadatto, perché l’immaginazione del ragazzo si accenda. È lì, infatti, che George W. Carver, come racconterà anni più tardi, capisce che ciò che più vuole è diventare un “esperto di piante”.
In un anno impara tutto ciò che la piccola scuola di Neosho ha da offrirgli, poi riparte spostandosi da un luogo all’altro del Sud, svolgendo mille lavori e completando i suoi studi secondari a Fort Scott. Dopo di che inizia a fare i suoi piani per entrare all’università.
Nel 1890 accedere a un’università per un nero non era cosa semplice. Anzi, a voler essere precisi, era qualcosa che non era mai successo in un paese come gli Stati Uniti che ancora per molti decenni praticherà la segregazione e la discriminazione razziale. Siamo nel 1890, non dimentichiamolo. Ci sarebbero voluti altri 65 anni prima che la Corte Suprema degli Stati Uniti sentenziasse che l’università non può rifiutare le ammissioni basandosi sul colore della pelle.
Ma il fatto che mai un nero abbia frequentato l’università nel suo paese non è una notizia che spaventa troppo George. Saputo di un istituto scolastico in Iowa che sembra fare al caso suo, invia per posta la domanda d’ammissione. Una settimana dopo riceve la conferma della sua accettazione. Felice per l’inaspettata semplicità della procedura di ammissione, senza porre ulteriore indugio, si precipita nello Iowa spendendo per il viaggio tutti i suoi risparmi. Purtroppo lo attende una pessima notizia: il college è mortificato per l’errore. Il dettaglio del colore della pelle, che pure George aveva cautamente specificato nella domanda di ammissione, era sfuggito a un impiegato poco attento e, forse, non preparato a una tale eventualità; le autorità sono davvero spiacenti, ma il nero Carver non può frequentare le lezioni in quell’università.
George Carver non si scoraggia. Ci vuole ben altro e, inoltre, aveva messo in conto che non sarebbe stato cosa semplice. Nel 1890 il Simpson College di Indianola, Iowa, finalmente, lo accetta anche se nero. Un’ultima barriera lo divide dal sogno della sua vita: deve trovare i soldi per pagare il college. Si adatta a fare qualunque cosa: il pulitore di tappeti, il lavandaio, lo stalliere, il cuoco di prima categoria in un albergo e nel breve tempo di un anno riesce a mettere da parte i soldi necessari per pagare la retta di ammissione.
Tratto da: Stafano Mancuso, Uomini che amano le piante, Storie di scienziati del mondo vegetale.
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