«Ora se ne sono andati tutti» disse Louis. «Sono solo. Sono entrati in casa per far colazione, e io sono rimasto in piedi, qui tra i fiori, accanto al muro. È molto presto, non è ancora l’ora della lezione. I fiori sono come tante macchie sulla quinta del verde fondo. I petali sono arlecchini. Gli steli si ergono dagli incavi neri. I fiori nuotano come pesci intrisi di luce nell’acqua di un verde cupo. Prendo uno stelo in mano. Io sono lo stelo. Le mie radici si sprofondano fino al centro della terra, giù nel terreno asciutto, nel terreno umido, attraverso vene di piombo e d’argento. Son tutto una fibra. Mille tremiti mi scuotono, e grave sulle mie costole è il peso della terra. Quassù, i miei occhi sono foglie verdi, non vedo nulla. Sono un ragazzo, vestito di flanella grigia, con una cintura tenuta chiusa da un serpente d’ottone, quassù. Laggiù i miei occhi sono quelli senza palpebre di una figura di pietra nel deserto, là vicino al Nilo. Vedo donne avviarsi al fiume con orci rossi; vedo cammelli avanzare col loro passo dinoccolato e uomini in turbante. Tutto intorno a me sento uno scalpitare, un tremito, un’agitazione continua.
«Lassù, Bernard, Neville, Jinny e Susan (Rhoda non c’è) sfiorano appena le aiuole con le reticelle. Portan via le farfalle dalle cime tremule dei fiori. Spazzano la superficie del mondo. Le loro reticelle sono piene di ali palpitanti. “Louis, Louis, Louis” urlano. Ma non possono vedermi. Sono dietro la siepe. Ci sono solamente degli occhiolini tra le foglie. Mio Dio, fa’ che passino oltre. Mio Dio, fa’ che posino le loro farfalle su un fazzoletto, tra la ghiaia. Che contino le loro prede dalle ali rosse e bianche o screziate. Ma possa io restare invisibile. Sono verde come il tasso all’ombra della siepe. I miei capelli sono tutti foglie. Sono abbarbicato al centro della terra. Il mio corpo è uno stelo. Lo schiaccio e ne esce lenta una goccia che si gonfia e pian piano s’ingrossa. Qualcosa color rosa sta passando dietro la siepe. Il raggio di un’occhiata s’insinua nella fessura tra foglia e foglia. Mi colpisce. Sono un ragazzo vestito di flanella grigia. Lei mi ha scoperto. Mi sento colpire alla nuca. Mi ha baciato. Tutto è andato in pezzi.»
«Stavo correndo in giardino» disse Jinny «dopo colazione. Ho visto delle foglie che si muovevano nella siepe – attorno a un buco. E ho pensato: “È un uccellino nel suo nido”. Ho scostato le foglie e ho guardato; ma non c’era nessun uccello, nessun nido. Le foglie han continuato a muoversi. Avevo una gran paura. Sono scappata via passando davanti a Susan, Rhoda e Neville che chiaccheravano nel casotto degli arnesi. Correvo sempre più svelta e urlavo. Cosa smuoveva le foglie? Cosa smuove il mio cuore, le mie gambe? E mi son precipitata sulla siepe e ti ho visto, Louis, verde come un cespuglio, come un ramo, quasi, immobile e con gli occhi fissi. È morto? ho pensato, e ti ho baciato; e il mio cuore, sotto la veste rosa, mi balzava in petto, come le foglie che seguitano ad agitarsi anche quando non c’è più nulla che le smuova. Adesso odoro i gerani; odoro il terriccio. Danzo. Son tutta un fremito, un ruscellare. Mi sento gettata addosso a te come una rete di luce. Giaccio su di te, tutta vibrante.»
«Attraverso la fessura nella siepe» disse Susan «l’ho vista che lo baciava. Ho alzato la testa dal vaso di fiori e ho guardato attraverso la fessura. L’ho vista che lo baciava. Li ho visti baciarsi Jinny e Louis. Ora avvolgerò il mio strazio nel fazzoletto. Resterà chiuso, appallottolato là dentro. Andrò da sola nel bosco dei faggi, prima della lezione. Non ho voglia di far somme, seduta al tavolino. Non ho voglia di sedere accanto a Jinny e a Louis. Prenderò la mia angoscia e la stenderò sotto i faggi, tra le radici. La esaminerò con cura, prendendola in mano, tra le dita. Non mi troveranno. Mangerò noci e sbircerò tra i rovi in cerca d’uova, i miei capelli si aggroviglieranno e dormirò sotto le siepi e berrò l’acqua dei fossati e morirò là.»
«Susan ci è passata davanti» disse Bernard. «È passata davanti alla porta del casotto degli attrezzi con in mano il fazzoletto appallottolato. Non piangeva ma i suoi occhi tanto belli eran stretti come quelli dei gatti prima di spiccare il salto. Le vado dietro, Neville. La seguirò pian pianino, per esserle vicino con la mia curiosità, per consolarla, quando avrà un accesso di rabbia e penserà: “Sono sola”.
«Ora sta attraversando il campo dondolandosi con noncuranza, per ingannarci. Ecco che arriva al fosso; crede di non esser vista; comincia a correre con i pugni chiusi, stretti al petto. Le sue unghie si affondano nella palla del fazzoletto. Si sta dirigendo verso i faggi, dove non c’è luce. Apre le braccia quando ci arriva e si getta nell’ombra come una nuotatrice. Ma dopo tutta quella luce è come cieca e incespica e si lascia cadere a terra sulle radici ai piedi degli alberi, dove la luce sembra ansimare, accendendosi e spengendosi continuamente. Le fronde si alzano e si abbassano. Qui c’è un’agitazione, un’inquietudine continua. C’è un’angoscia che non ha tregua. Le radici formano uno
scheletro sul terreno, con gli angolini pieni di foglie morte. Susan ha steso per terra la sua angoscia. Ha aperto e messo sulle radici il fazzoletto e singhiozza, accartocciata a terra là dov’è caduta.»
«L’ho vista che lo baciava» disse Susan. «Ho guardato tra le foglie e l’ho vista. Danzava, screziata di diamanti lievi come polvere. E io, Bernard, sono piccola e tozza. Ho occhi che guardano il terreno da vicino e vedono gli insetti tra l’erba. Il calore giallo che avevo nel fianco si è irrigidito fino a diventare una pietra quando ho visto Jinny baciare Louis. Mangerò erba e morirò in un fosso, nell’acqua giallastra dove sono marcite le foglie morte.»
«Ti ho vista andare» disse Bernard. «Mentre passavi davanti alla porta ti ho sentito gridare: “Sono infelice!”. Ho posato il coltello. Stavamo facendo, io e Neville, barchette con legna da ardere. E ho i capelli scarmigliati perché quando Mrs. Constable mi disse di spazzolarmeli c’era una mosca nella ragnatela e io ho chiesto: “Devo liberare la mosca? Devo lasciarla mangiare?” È così che sono sempre in ritardo. Ho i capelli in disordine, con tutti quei trucioli. Quando ti ho sentita gridare, ti ho seguita e ti ho vista stringere il fazzoletto appallottolato, con dentro tutta la rabbia e l’odio che poteva contenere. Ma presto finirà tutto. Ora i nostri corpi sono vicini. Mi senti respirare. Vedi anche lo scarabeo che si porta via una foglia sulla schiena. Corre di qua e di là, e quindi anche quel desiderio che ti viene di guardarlo, di possedere una sola cosa (in questo momento è Louis) è costretto a vacillare come la luce espirata e inspirata dalle foglie del faggio; e poi delle parole, muovendosi oscuramente nella profondità del tuo spirito, infrangeranno quel nodo di durezza che si è attorto nel tuo fazzoletto.»
«Amo» disse Susan «e odio. Desidero solo una cosa. Ho gli occhi duri. Quelli di Jinny si infrangono in mille luci. Quelli di Rhoda sono come quei fiori pallidi a cui di sera s’accostan le falene. I tuoi diventan pieni e colmi e non si frangono mai. Ma io sono già sul mio sentiero di guerra. Vedo gli insetti tra l’erba. Sebbene la mamma mi faccia sempre le calzette bianche e mi ricami i grembialini e io sia una bambina, pure amo e odio.»
«Ma quando sediamo vicini, insieme, io e te» disse Bernard «ci fondiamo, parlando, l’uno nell’altra. Siamo alonati da una nebbiolina. Formiamo un territorio impalpabile, incorporeo.»
«Vedo lo scarabeo» disse Susan. «È nero, lo vedo; no, è verde; sono legata alla terra, stretta da parole isolate. Ma tu ti distacchi, fuggi via, ti sollevi in alto con parole e parole e parole unite a formare frasi.»
«Dunque» disse Bernard «esploriamo un po’. C’è la casa bianca tra gli alberi. È laggiù, sotto di noi, lontana, lontana. Ci sprofonderemo come due nuotatori che tocchino appena il fondo con la punta dei piedi. Affonderemo attraverso la verde aria delle foglie, Susan. Affondiamo correndo. Le onde si richiudono su di noi, le foglie dei faggi si congiungono sulle nostre teste. Ecco là l’orologio a muro con le lancette dorate che brillano al sole. Quelli sono i tetti ondulati della grande casa. C’è il mozzo di stalla che acciabatta nel cortile con le scarpe di gomma. Quello è Elvedon.»
«Ora siamo caduti a terra di tra i rami degli alberi. L’aria non srotola più su di noi le sue onde lunghe, infelici, violette. Tocchiamo terra, camminiamo su terra ferma. Quella è la siepe ben potata del giardino delle signore. Là vanno a passeggio sul meriggio, con le cesoie, e spuntano le rose. Adesso siamo nel bosco chiuso, circondato dal muro. Questo è Elvedon. Ho visto i cartelli indicatori ai crocicchi, con un braccio che indicava “Per Elvedon”. Non c’è stato nessuno. Le felci hanno un odore fortissimo, e in mezzo a loro crescono funghi rossi. Ora svegliamo le cornacchie sonnacchiose che non hanno mai visto forma umana; ora camminiamo sulle galle di quercia, marce, scivolose, e rosse per la vecchiaia. C’è una cerchia di muro intorno a questo bosco; nessuno ci viene. Ascolta! È il tonfo sordo del rospo gigante nel sottobosco; e quest’altro è il rumore di qualche pigna antidiluviana che cade tra le felci per marcirvi.»
«Metti il piede su questo mattone. Guarda di là dal muro. Quello è Elvedon. La signora è seduta tra i due finestroni e scrive. I giardinieri spazzano il prato con gigantesche granate. Siamo i primi a venire qui. Siamo gli scopritori di una terra ignota. Non ti muovere; se i giardinieri ci vedessero, ci sparerebbero. Ci inchioderebbero, come ermellini, alla porta della stalla. Guarda! Non ti muovere. Tienti stretta alle felci in cima al muro.»
«Vedo la signora che scrive.Vedo i giardinieri che spazzano» disse Susan. «Se morissimo qui, nessuno ci seppellirebbe.»
«Corri!» disse Bernard «Corri via! Il giardiniere con la barba nera ci ha visti! Ci spareranno! Ci spareranno come alle ghiandaie e ci configgeranno al muro! Siamo in un paese nemico.
Dobbiamo scappare nel bosco dei faggi. Ci dobbiamo nascondere sotto gli alberi. Quando siamo venuti ho torto un ramoscello nel punto dove c’era un sentiero segreto. Chinati a terra più che puoi. Seguimi senza voltarti indietro. Penseranno che siamo volpi. Corri!»
«Ora siamo al sicuro. Ora possiamo camminare diritti. Possiamo stender le braccia sotto questo alto baldacchino, in questo vasto bosco. Non sento nulla. È solo il mormorio delle onde nell’aria. Questo è un colombo selvatico che si apre la via sulla cima dei faggi. Il colombo batte l’aria con ali di legno.»
«Ora cominci a divagare» disse Susan «con le tue solite frasi. Cominci a innalzarti come la corda di un palloncino, sempre più su tra gli strati delle foglie, fuori di portata. Ora perdi fiato. Mi tiri per la sottana, ti volti a guardare indietro, con le tue solite frasi. Mi sei sfuggito. Ecco il giardino. Ecco la siepe. Ecco Rhoda nel vialetto, che culla i petali nella catinella marrone.»
«Tutte le mie navi sono bianche» disse Rhoda. «Non so che farmene dei petali rossi della malvarosa o del geranio. Voglio quelli bianchi che planano via quando abbasso la catinella. Adesso ho una flotta che nuota da sponda a sponda. Butterò nell’acqua un ramoscello come se fosse una zattera per un marianio che annega. Butterò un sasso e starò a vedere le bollicine che si alzano dal fondo del mare. Neville se n’è andato e anche Susan se n’è andata; Jinny è nell’orto a cogliere il ribes, forse insieme a Louis. Ho poco tempo da restare sola, mentre Miss Hudson prepara i quaderni sul tavolo nella stanza delle lezioni. Ho ancora pochi minuti di libertà. Ho colto tutti i petali caduti e li ho fatti galleggiare sull’acqua. Su alcuni ho messo gocce d’acqua piovana. Qui pianterò un faro, un cespo di alisso. E cullerò la catinella marrone su e giù in modo che le mie navi solchino le onde. Alcune affonderanno. Altre andranno a sbattere contro le scogliere. Una veleggia da sola. È la mia. Naviga dentro grotte ghiacciate dove abbaia l’orso polare e le stalattiti si lanciano verdi catene. Le onde s’impennano e le loro creste s’arricciano; guarda le luci in cima agli alberi maestri, alle gabbie. Si sono disperse, sono affondate, tutte eccettuata la mia, che rimonta l’onda e corre davanti al vento furioso e arriva alle isole dove ciaccolano i pappagalli e i rampicanti…»
tratto da Virginia Woolf, Le onde, trad. it. Giulio De Angelis, Milano 1979.
Titolo originale The Waves; prima edizione 1931, © Quentin Bell and Angelica Garnett.