Virginia Woolf

«Ora se ne sono andati tutti» disse Louis. «Sono solo. Sono entrati in casa per far colazione, e io sono rimasto in piedi, qui tra i fiori, accanto al muro. È molto presto, non è ancora l’ora della lezione. I fiori sono come tante macchie sulla quinta del verde fondo. I petali sono arlecchini. Gli steli si ergono dagli incavi neri. I fiori nuotano come pesci intrisi di luce nell’acqua di un verde cupo. Prendo uno stelo in mano. Io sono lo stelo. Le mie radici si sprofondano fino al centro della terra, giù nel terreno asciutto, nel terreno umido, attraverso vene di piombo e d’argento. Son tutto una fibra. Mille tremiti mi scuotono, e grave sulle mie costole è il peso della terra. Quassù, i miei occhi sono foglie verdi, non vedo nulla. Sono un ragazzo, vestito di flanella grigia, con una cintura tenuta chiusa da un serpente d’ottone, quassù. Laggiù i miei occhi sono quelli senza palpebre di una figura di pietra nel deserto, là vicino al Nilo. Vedo donne avviarsi al fiume con orci rossi; vedo cammelli avanzare col loro passo dinoccolato e uomini in turbante. Tutto intorno a me sento uno scalpitare, un tremito, un’agitazione continua.

«Lassù, Bernard, Neville, Jinny e Susan (Rhoda non c’è) sfiorano appena le aiuole con le reticelle. Portan via le farfalle dalle cime tremule dei fiori. Spazzano la superficie del mondo. Le loro reticelle sono piene di ali palpitanti. “Louis, Louis, Louis” urlano. Ma non possono vedermi. Sono dietro la siepe. Ci sono solamente degli occhiolini tra le foglie. Mio Dio, fa’ che passino oltre. Mio Dio, fa’ che posino le loro farfalle su un fazzoletto, tra la ghiaia. Che contino le loro prede dalle ali rosse e bianche o screziate. Ma possa io restare invisibile. Sono verde come il tasso all’ombra della siepe. I miei capelli sono tutti foglie. Sono abbarbicato al centro della terra. Il mio corpo è uno stelo. Lo schiaccio e ne esce lenta una goccia che si gonfia e pian piano s’ingrossa. Qualcosa color rosa sta passando dietro la siepe. Il raggio di un’occhiata s’insinua nella fessura tra foglia e foglia. Mi colpisce. Sono un ragazzo vestito di flanella grigia. Lei mi ha scoperto. Mi sento colpire alla nuca. Mi ha baciato. Tutto è andato in pezzi.»

«Stavo correndo in giardino» disse Jinny «dopo colazione. Ho visto delle foglie che si muovevano nella siepe – attorno a un buco. E ho pensato: “È un uccellino nel suo nido”. Ho scostato le foglie e ho guardato; ma non c’era nessun uccello, nessun nido. Le foglie han continuato a muoversi. Avevo una gran paura. Sono scappata via passando davanti a Susan, Rhoda e Neville che chiaccheravano nel casotto degli arnesi. Correvo sempre più svelta e urlavo. Cosa smuoveva le foglie? Cosa smuove il mio cuore, le mie gambe? E mi son precipitata sulla siepe e ti ho visto, Louis, verde come un cespuglio, come un ramo, quasi, immobile e con gli occhi fissi. È morto? ho pensato, e ti ho baciato; e il mio cuore, sotto la veste rosa, mi balzava in petto, come le foglie che seguitano ad agitarsi anche quando non c’è più nulla che le smuova. Adesso odoro i gerani; odoro il terriccio. Danzo. Son tutta un fremito, un ruscellare. Mi sento gettata addosso a te come una rete di luce. Giaccio su di te, tutta vibrante.»

«Attraverso la fessura nella siepe» disse Susan «l’ho vista che lo baciava. Ho alzato la testa dal vaso di fiori e ho guardato attraverso la fessura. L’ho vista che lo baciava. Li ho visti baciarsi Jinny e Louis. Ora avvolgerò il mio strazio nel fazzoletto. Resterà chiuso, appallottolato là dentro. Andrò da sola nel bosco dei faggi, prima della lezione. Non ho voglia di far somme, seduta al tavolino. Non ho voglia di sedere accanto a Jinny e a Louis. Prenderò la mia angoscia e la stenderò sotto i faggi, tra le radici. La esaminerò con cura, prendendola in mano, tra le dita. Non mi troveranno. Mangerò noci e sbircerò tra i rovi in cerca d’uova, i miei capelli si aggroviglieranno e dormirò sotto le siepi e berrò l’acqua dei fossati e morirò là.»

«Susan ci è passata davanti» disse Bernard. «È passata davanti alla porta del casotto degli attrezzi con in mano il fazzoletto appallottolato. Non piangeva ma i suoi occhi tanto belli eran stretti come quelli dei gatti prima di spiccare il salto. Le vado dietro, Neville. La seguirò pian pianino, per esserle vicino con la mia curiosità, per consolarla, quando avrà un accesso di rabbia e penserà: “Sono sola”.

«Ora sta attraversando il campo dondolandosi con noncuranza, per ingannarci. Ecco che arriva al fosso; crede di non esser vista; comincia a correre con i pugni chiusi, stretti al petto. Le sue unghie si affondano nella palla del fazzoletto. Si sta dirigendo verso i faggi, dove non c’è luce. Apre le braccia quando ci arriva e si getta nell’ombra come una nuotatrice. Ma dopo tutta quella luce è come cieca e incespica e si lascia cadere a terra sulle radici ai piedi degli alberi, dove la luce sembra ansimare, accendendosi e spengendosi continuamente. Le fronde si alzano e si abbassano. Qui c’è un’agitazione, un’inquietudine continua. C’è un’angoscia che non ha tregua. Le radici formano uno

scheletro sul terreno, con gli angolini pieni di foglie morte. Susan ha steso per terra la sua angoscia. Ha aperto e messo sulle radici il fazzoletto e singhiozza, accartocciata a terra là dov’è caduta.»

«L’ho vista che lo baciava» disse Susan. «Ho guardato tra le foglie e l’ho vista. Danzava, screziata di diamanti lievi come polvere. E io, Bernard, sono piccola e tozza. Ho occhi che guardano il terreno da vicino e vedono gli insetti tra l’erba. Il calore giallo che avevo nel fianco si è irrigidito fino a diventare una pietra quando ho visto Jinny baciare Louis. Mangerò erba e morirò in un fosso, nell’acqua giallastra dove sono marcite le foglie morte.»

«Ti ho vista andare» disse Bernard. «Mentre passavi davanti alla porta ti ho sentito gridare: “Sono infelice!”. Ho posato il coltello. Stavamo facendo, io e Neville, barchette con legna da ardere. E ho i capelli scarmigliati perché quando Mrs. Constable mi disse di spazzolarmeli c’era una mosca nella ragnatela e io ho chiesto: “Devo liberare la mosca? Devo lasciarla mangiare?” È così che sono sempre in ritardo. Ho i capelli in disordine, con tutti quei trucioli. Quando ti ho sentita gridare, ti ho seguita e ti ho vista stringere il fazzoletto appallottolato, con dentro tutta la rabbia e l’odio che poteva contenere. Ma presto finirà tutto. Ora i nostri corpi sono vicini. Mi senti respirare. Vedi anche lo scarabeo che si porta via una foglia sulla schiena. Corre di qua e di là, e quindi anche quel desiderio che ti viene di guardarlo, di possedere una sola cosa (in questo momento è Louis) è costretto a vacillare come la luce espirata e inspirata dalle foglie del faggio; e poi delle parole, muovendosi oscuramente nella profondità del tuo spirito, infrangeranno quel nodo di durezza che si è attorto nel tuo fazzoletto.»

«Amo» disse Susan «e odio. Desidero solo una cosa. Ho gli occhi duri. Quelli di Jinny si infrangono in mille luci. Quelli di Rhoda sono come quei fiori pallidi a cui di sera s’accostan le falene. I tuoi diventan pieni e colmi e non si frangono mai. Ma io sono già sul mio sentiero di guerra. Vedo gli insetti tra l’erba. Sebbene la mamma mi faccia sempre le calzette bianche e mi ricami i grembialini e io sia una bambina, pure amo e odio.»

«Ma quando sediamo vicini, insieme, io e te» disse Bernard «ci fondiamo, parlando, l’uno nell’altra. Siamo alonati da una nebbiolina. Formiamo un territorio impalpabile, incorporeo.»

«Vedo lo scarabeo» disse Susan. «È nero, lo vedo; no, è verde; sono legata alla terra, stretta da parole isolate. Ma tu ti distacchi, fuggi via, ti sollevi in alto con parole e parole e parole unite a formare frasi.»

«Dunque» disse Bernard «esploriamo un po’. C’è la casa bianca tra gli alberi. È laggiù, sotto di noi, lontana, lontana. Ci sprofonderemo come due nuotatori che tocchino appena il fondo con la punta dei piedi. Affonderemo attraverso la verde aria delle foglie, Susan. Affondiamo correndo. Le onde si richiudono su di noi, le foglie dei faggi si congiungono sulle nostre teste. Ecco là l’orologio a muro con le lancette dorate che brillano al sole. Quelli sono i tetti ondulati della grande casa. C’è il mozzo di stalla che acciabatta nel cortile con le scarpe di gomma. Quello è Elvedon.»

«Ora siamo caduti a terra di tra i rami degli alberi. L’aria non srotola più su di noi le sue onde lunghe, infelici, violette. Tocchiamo terra, camminiamo su terra ferma. Quella è la siepe ben potata del giardino delle signore. Là vanno a passeggio sul meriggio, con le cesoie, e spuntano le rose. Adesso siamo nel bosco chiuso, circondato dal muro. Questo è Elvedon. Ho visto i cartelli indicatori ai crocicchi, con un braccio che indicava “Per Elvedon”. Non c’è stato nessuno. Le felci hanno un odore fortissimo, e in mezzo a loro crescono funghi rossi. Ora svegliamo le cornacchie sonnacchiose che non hanno mai visto forma umana; ora camminiamo sulle galle di quercia, marce, scivolose, e rosse per la vecchiaia. C’è una cerchia di muro intorno a questo bosco; nessuno ci viene. Ascolta! È il tonfo sordo del rospo gigante nel sottobosco; e quest’altro è il rumore di qualche pigna antidiluviana che cade tra le felci per marcirvi.»

«Metti il piede su questo mattone. Guarda di là dal muro. Quello è Elvedon. La signora è seduta tra i due finestroni e scrive. I giardinieri spazzano il prato con gigantesche granate. Siamo i primi a venire qui. Siamo gli scopritori di una terra ignota. Non ti muovere; se i giardinieri ci vedessero, ci sparerebbero. Ci inchioderebbero, come ermellini, alla porta della stalla. Guarda! Non ti muovere. Tienti stretta alle felci in cima al muro.»

«Vedo la signora che scrive.Vedo i giardinieri che spazzano» disse Susan. «Se morissimo qui, nessuno ci seppellirebbe.»

«Corri!» disse Bernard «Corri via! Il giardiniere con la barba nera ci ha visti! Ci spareranno! Ci spareranno come alle ghiandaie e ci configgeranno al muro! Siamo in un paese nemico.

Dobbiamo scappare nel bosco dei faggi. Ci dobbiamo nascondere sotto gli alberi. Quando siamo venuti ho torto un ramoscello nel punto dove c’era un sentiero segreto. Chinati a terra più che puoi. Seguimi senza voltarti indietro. Penseranno che siamo volpi. Corri!»

«Ora siamo al sicuro. Ora possiamo camminare diritti. Possiamo stender le braccia sotto questo alto baldacchino, in questo vasto bosco. Non sento nulla. È solo il mormorio delle onde nell’aria. Questo è un colombo selvatico che si apre la via sulla cima dei faggi. Il colombo batte l’aria con ali di legno.»

«Ora cominci a divagare» disse Susan «con le tue solite frasi. Cominci a innalzarti come la corda di un palloncino, sempre più su tra gli strati delle foglie, fuori di portata. Ora perdi fiato. Mi tiri per la sottana, ti volti a guardare indietro, con le tue solite frasi. Mi sei sfuggito. Ecco il giardino. Ecco la siepe. Ecco Rhoda nel vialetto, che culla i petali nella catinella marrone.»

«Tutte le mie navi sono bianche» disse Rhoda. «Non so che farmene dei petali rossi della malvarosa o del geranio. Voglio quelli bianchi che planano via quando abbasso la catinella. Adesso ho una flotta che nuota da sponda a sponda. Butterò nell’acqua un ramoscello come se fosse una zattera per un marianio che annega. Butterò un sasso e starò a vedere le bollicine che si alzano dal fondo del mare. Neville se n’è andato e anche Susan se n’è andata; Jinny è nell’orto a cogliere il ribes, forse insieme a Louis. Ho poco tempo da restare sola, mentre Miss Hudson prepara i quaderni sul tavolo nella stanza delle lezioni. Ho ancora pochi minuti di libertà. Ho colto tutti i petali caduti e li ho fatti galleggiare sull’acqua. Su alcuni ho messo gocce d’acqua piovana. Qui pianterò un faro, un cespo di alisso. E cullerò la catinella marrone su e giù in modo che le mie navi solchino le onde. Alcune affonderanno. Altre andranno a sbattere contro le scogliere. Una veleggia da sola. È la mia. Naviga dentro grotte ghiacciate dove abbaia l’orso polare e le stalattiti si lanciano verdi catene. Le onde s’impennano e le loro creste s’arricciano; guarda le luci in cima agli alberi maestri, alle gabbie. Si sono disperse, sono affondate, tutte eccettuata la mia, che rimonta l’onda e corre davanti al vento furioso e arriva alle isole dove ciaccolano i pappagalli e i rampicanti…»

tratto da Virginia Woolf, Le onde, trad. it. Giulio De Angelis, Milano 1979.

Titolo originale The Waves; prima edizione 1931, © Quentin Bell and Angelica Garnett.

Virginia Woolf

“Maintenant, ils sont tous partis,” dit Louis. “Je suis seul. Ils sont entrés dans la maison pour prendre le petit déjeuner, et je suis resté debout, ici parmi les fleurs, à côté du mur. Il est très tôt, ce n’est pas encore l’heure des cours. Les fleurs sont comme autant de taches sur fond de fond vert. Les pétales sont des arlequins. Les tiges sortent des rainures noires. Les fleurs nagent comme des poissons imprégnés de lumière dans l’eau vert foncé. Je prends une tige dans ma main. Je suis la tige. Mes racines s’enfoncent au centre de la terre, dans le sol sec, dans le sol humide, à travers des veines de plomb et d’argent. Je suis toute une fibre. Mille tremblements me secouent, et lourd sur mes côtes est le poids de la terre. Là-haut, mes yeux sont des feuilles vertes, je ne vois rien. Je suis un garçon, vêtu de flanelle grise, avec une ceinture maintenue fermée par un serpent en laiton ici. Là-bas, mes yeux sont ceux d’une figure de pierre sans paupière dans le désert, là-bas au bord du Nil. Je vois des femmes marcher vers la rivière avec des jarres rouges ; Je vois des chameaux s’avancer avec leurs pas avachis et des hommes en turbans. Tout autour de moi, je ressens un piétinement, un tremblement, une agitation continue.

« Là-haut, Bernard, Neville, Jinny et Susan (Rhoda n’est pas là) frôlent à peine les parterres de fleurs avec des filets. Ils enlèvent les papillons des sommités tremblantes des fleurs. Ils balaient la surface du monde. Leurs filets sont pleins d’ailes palpitantes. “Louis, Louis, Louis” crient-ils. Mais ils ne peuvent pas me voir. Je suis derrière la haie. Il n’y a que des clins d’œil dans les feuilles. Mon Dieu, laissez-les passer. Mon Dieu, qu’ils mettent leurs papillons sur un mouchoir, parmi le gravier. Que ce soit leur proie aux ailes rouges et blanches ou tachetées. Mais que je reste invisible. Je suis vert comme l’if à l’ombre de la haie. Mes cheveux sont tout en feuilles. Je m’accroche au centre de la terre. Mon corps est une tige. Je le presse et une goutte sort lentement, gonfle et grossit lentement. Quelque chose de rose passe derrière la haie. Le rayon d’un regard s’insinue dans l’interstice entre feuille et feuille. Ça me frappe. Je suis un garçon vêtu de flanelle grise. Elle m’a découvert. Je me sens touché à l’arrière de la tête. Il m’a embrassé. Tout s’est effondré.”

“Je courais dans le jardin”, a déclaré Jinny, “après le petit-déjeuner. J’ai vu des feuilles bouger dans la haie – autour d’un trou. Et j’ai pensé : “C’est un petit oiseau dans son nid.” J’écartai les feuilles et regardai ; mais il n’y avait pas d’oiseau, pas de nid. Les feuilles ont continué à bouger. J’ai eu très peur. Je me suis enfui devant Susan, Rhoda et Neville en train de discuter dans la remise à outils. J’ai couru de plus en plus vite et j’ai crié. Qu’est-ce qui a fait bouger les feuilles ? Qu’est-ce qui fait bouger mon cœur, mes jambes ? Et je me suis précipité vers la haie et je t’ai vu, Louis, vert comme un buisson, comme une branche, presque immobile et les yeux fixes. Est mort? J’ai pensé, et je t’ai embrassé ; et mon cœur, sous la robe rose, a bondi dans ma poitrine, comme les feuilles qui continuent de trembler même quand il n’y a plus rien pour les remuer. Maintenant, je sens les géraniums ; Je sens la saleté. Je danse. Je suis tout un frisson, un ruisseau. Je me sens jeté sur toi comme une toile de lumière. Je m’allonge sur toi, toute vibrante.”

« À travers la fissure de la haie, dit Susan, je l’ai vue l’embrasser. J’ai levé la tête du pot de fleurs et j’ai regardé par la fente. Je l’ai vue l’embrasser. Je les ai vus embrasser Jinny et Louis. Maintenant, je vais envelopper mon chagrin dans un mouchoir. Il restera fermé, enroulé là-dedans. J’irai seul dans la forêt de hêtres avant le cours. Je ne veux pas additionner, assis à table. Je ne veux pas m’asseoir à côté de Jinny et Louis. Je vais prendre mon angoisse et la répandre sous les hêtres, parmi les racines. Je vais l’examiner attentivement, le prenant dans ma main, entre mes doigts. Ils ne me trouveront pas. Je mangerai des noix et je regarderai à travers les ronces à la recherche d’œufs, mes cheveux s’emmêleront et je dormirai sous les haies, je boirai l’eau des fossés et j’y mourrai. »

“Susan est passée devant nous”, a déclaré Bernard. « Elle a passé la porte de la remise à outils avec un mouchoir chiffonné à la main. Il ne pleurait pas mais ses beaux yeux étaient aussi étroits que ceux des chats avant de sauter le pas. Je vais te chercher, Neville. Je la suivrai lentement, pour être près d’elle avec ma curiosité, pour la consoler, quand elle aura un accès de colère et pensera : “Je suis seul”.

« Maintenant, il traverse le champ, se balançant négligemment, pour nous tromper. Ici, il vient au fossé; elle pense qu’elle n’est pas vue ; il se met à courir les poings fermés, serrés contre sa poitrine. Ses ongles s’enfoncent dans le mouchoir boule. Il se dirige vers les hêtres, là où il n’y a pas de lumière. Elle ouvre les bras quand elle arrive et se jette dans l’ombre comme une nageuse. Mais après toute cette lumière, elle est comme aveugle et trébuche et se laisse tomber par terre sur les racines au pied des arbres, où la lumière semble haleter, s’allumer et s’éteindre continuellement. Les frondes montent et descendent. Ici, il y a une agitation, une agitation continue. Il y a une angoisse qui n’a pas de répit. Les racines ne font qu’un

squelette au sol, avec les coins pleins de feuilles mortes. Susan a répandu son angoisse sur le sol. Elle ouvrit le mouchoir et le posa sur ses racines et sanglota, froissé sur le sol où il tomba. »

“Je l’ai vue l’embrasser,” dit Susan. “J’ai regardé à travers les feuilles et je l’ai vu. Il dansait, parsemé de diamants légers comme de la poussière. Et moi, Bernard, je suis petit et trapu. J’ai des yeux qui regardent le sol de près et voient des insectes dans l’herbe. La chaleur jaune de mon côté s’est raidie en pierre quand j’ai vu Jinny embrasser Louis. Je mangerai de l’herbe et je mourrai dans un fossé, dans l’eau jaunâtre où les feuilles mortes ont pourri.”

— Je t’ai vu partir, dit Bernard. « En passant la porte, je t’ai entendu crier : ‘Je suis malheureux !’ J’ai posé le couteau. Nous faisions des bateaux à bois de chauffage, Neville et moi. Et mes cheveux sont ébouriffés parce que quand Mme Constable m’a dit de les brosser, il y avait une mouche dans la toile et j’ai demandé : « Dois-je lâcher la mouche ? Dois-je la laisser manger ?” C’est comme ça que je suis toujours en retard. Mes cheveux sont en désordre avec tous ces copeaux. Quand je t’ai entendu crier, je t’ai suivi et je t’ai vu serrer ton mouchoir enroulé, avec toute la colère et la haine qu’il pouvait contenir à l’intérieur. Mais tout sera bientôt fini. Maintenant nos corps sont proches. Tu m’entends respirer. Voir aussi le scarabée portant une feuille sur son dos. Il court ici et là, et donc même ce désir qui vient à vous de le regarder, de ne posséder qu’une chose (en ce moment c’est Louis) est obligé de vaciller comme la lumière exhalée et inspirée par les feuilles du hêtre ; et alors les mots, se mouvant obscurément au fond de ton esprit, briseront ce nœud de dureté qui s’est tordu dans ton mouchoir. »

« J’aime, dit Susan, et je déteste. Je ne veux qu’une chose. J’ai les yeux durs. Jinny se brise en mille feux. Les Rhoda sont comme ces fleurs pâles que les mites s’approchent le soir. Le vôtre devient plein et plein et ne se brise jamais. Mais je suis déjà sur mon chemin de guerre. Je vois des insectes dans l’herbe. Bien que ma mère me fasse toujours des chaussettes blanches et des broderies pour moi, et que je sois un enfant, j’aime et je déteste aussi.”

“Mais quand nous nous asseyons ensemble, toi et moi,” dit Bernard, “nous nous confondons, nous parlons, l’un dans l’autre. Nous sommes auréolés d’une brume. Nous formons un territoire impalpable, incorporel.”

“Je vois le scarabée,” dit Susan. « C’est noir, je le vois ; non, c’est vert ; Je suis attaché à la terre, lié par des mots isolés. Mais tu te détaches, tu t’enfuis, tu t’élèves haut avec des mots et des mots et des mots joints pour former des phrases.”

« Alors, dit Bernard, explorons un peu. Il y a la maison blanche parmi les arbres. C’est là-bas, en dessous de nous, loin, très loin. Nous allons couler comme deux nageurs touchant à peine le fond avec leurs orteils. Nous allons sombrer dans l’air des feuilles vertes, Susan. On coule en courant. Les vagues se referment sur nous, les feuilles des hêtres se rejoignent au dessus de nos têtes. Voici l’horloge murale avec ses aiguilles dorées qui brillent au soleil. Ce sont les toits ondulés de la grande maison. Il y a le garçon d’écurie qui se glisse dans la cour avec des chaussures en caoutchouc. C’est Elvedon.”

« Maintenant, nous sommes tombés à terre parmi les branches des arbres. L’air ne déroule plus sur nous ses longues vagues malheureuses et violettes. On touche le sol, on marche sur la terre ferme. C’est la haie bien taillée du jardin des dames. Là, ils se promènent l’après-midi, avec les cisailles, et les roses apparaissent. Nous sommes maintenant dans le bois clos, entouré par le mur. C’est Elvedon. J’ai vu les panneaux indicateurs au carrefour, avec un bras pointant vers “Per Elvedon”. Il n’y avait personne. Les fougères ont une odeur très forte et des champignons rouges poussent parmi elles. Maintenant, nous réveillons les corbeaux endormis qui n’ont jamais vu de forme humaine ; maintenant nous marchons sur les galles du chêne, pourries, glissantes et rouges de vieillesse. Il y a un cercle de murs autour de ce bois ; personne n’y vient. A l’écoute ! C’est le bruit sourd du crapaud géant dans les sous-bois ; et cet autre est le bruit d’une pomme de pin antédiluvienne tombant pourrir parmi les fougères.”

« Mettez votre pied sur cette brique. Regardez par-dessus le mur. C’est Elvedon. La dame est assise entre les deux grandes fenêtres et écrit. Les jardiniers balaient la pelouse avec des grenades géantes. Nous sommes les premiers à venir ici. Nous sommes les découvreurs d’une terre inconnue. Ne bougez pas; si les jardiniers nous voyaient, ils nous tireraient dessus. Ils nous clouaient, comme des hermines, à la porte de l’écurie. Voir! Ne bougez pas. Accrochez-vous aux fougères en haut du mur.”

“Je vois la dame écrire. Je vois les jardiniers balayer”, a déclaré Susan. « Si nous mourions ici, personne ne nous enterrait.

“Cours!” Bernard a dit ” Fuis ! Le jardinier à barbe noire nous a vus ! Ils vont nous tirer dessus ! Ils nous tireront dessus comme des geais et nous colleront au mur ! Nous sommes dans un pays ennemi.

Nous devons nous échapper dans la forêt de hêtres. Nous devons nous cacher sous les arbres. Quand nous sommes arrivés, j’ai tordu une brindille là où il y avait un chemin secret. Penchez-vous au sol autant que vous le pouvez. Suivez-moi sans vous retourner. Ils penseront que nous sommes des renards. Cours!”

« Nous sommes en sécurité maintenant. Maintenant, nous pouvons marcher droit. Nous pouvons étendre nos bras sous cette haute verrière, dans ce vaste bois. Je ne sens rien. C’est juste le murmure des vagues dans l’air. C’est un pigeon sauvage qui monte au sommet des hêtres. Le pigeon bat l’air avec des ailes de bois.”

« Maintenant, vous commencez à errer », a déclaré Susan, « avec vos phrases habituelles. Vous commencez à monter comme la ficelle d’un ballon, de plus en plus haut entre les couches de feuilles, hors de portée. Maintenant, perds ton souffle. Vous me tirez par la jupe, vous vous retournez pour regarder en arrière, avec vos phrases habituelles. Tu m’as échappé. Voici le jardin. Voici la haie. Voici Rhoda dans l’allée, berçant les pétales dans le bassin marron. »

“Tous mes vaisseaux sont blancs,” dit Rhoda. « Je ne sais que faire des pétales rouges de rose trémière ou de géranium. Je veux les blancs qui glissent quand je baisse le bol. Maintenant, j’ai une flotte qui nage d’un rivage à l’autre. Je jetterai une brindille dans l’eau comme si c’était un radeau pour un Marianio en train de se noyer. Je vais jeter une pierre et regarder les bulles monter du fond de la mer. Neville est parti et Susan est partie aussi ; Jinny est dans le jardin à cueillir des groseilles, peut-être avec Louis. J’ai peu de temps pour être seul pendant que Miss Hudson prépare ses cahiers sur la table de la classe. J’ai encore quelques minutes de liberté. J’ai pris tous les pétales tombés et les ai fait flotter sur l’eau. Sur certains j’ai mis des gouttes d’eau de pluie. Ici, je vais planter un phare, une touffe d’algues. Et je balancerai le bassin brun de haut en bas pour que mes navires naviguent sur les vagues. Certains couleront. D’autres s’écraseront sur les falaises. L’un navigue seul. C’est à moi. Naviguez à l’intérieur de grottes gelées où l’ours polaire aboie et les stalactites se lancent des chaînes vertes. Les vagues montent et leurs crêtes s’enroulent ; regardez les lumières en haut des mâts, les cages. Ils se sont dispersés, ils ont coulé, tous sauf le mien, qui remonte la vague et court devant le vent furieux et atteint les îles où perroquets et lianes chassent…”

extrait de Virginia Woolf, The Waves, trad. il. Giulio De Angelis, Milan 1979.

Titre original The Waves ; première édition 1931, © Quentin Bell et Angelica Garnett.