Virginio Briatore

Il cemento e la Rosa 

È un paese millenario ma si vive già nel futuro. Il treno alta velocità Shinkansen è in funzione dal 1964, sulla tratta Tokyo-Osaka ne parte uno ogni tre minuti, a fine 2008 aveva trasportato 6 miliardi di persone senza neanche un incidente mortale. È la società alveare, in cui tutto funziona a meraviglia e ogni ape ha il suo miele. Con la Vecchia Europa ha molto in comune: culture e tradizioni antiche, cibo ed estetica raffinatissimi, passione per moda e design, aspettativa di vita massima, natalità minima, popolazione vecchia. In comune vi sono anche reparti industriali ed artigiani di grande fattura e responsabilità etica, che vengono messi in crisi dalla globalizzazione, dalle copie e dalle economie dove i lavoratori sono trattati come schiavi.

Però bisogna avere il coraggio di ammettere una verità: in Giappone la bellezza si fa rara, il brutto dilaga! Certo anche in Europa, in particolare in Italia e sulle coste mediterranee di Francia e Spagna, negli ultimi 50 anni abbiamo assistito allo sfacelo del territorio, al moltiplicarsi di infinite metastasi pseudo industriali o turistiche, al proliferare di funghi allucinogeni a luce artificiale che altri chiamano centri commerciali, però in Giappone sembra siano riusciti a fare un loro particolare disastro.

Ovunque ti giri è una colata di cemento senza anima e a noi che camminiamo nei centri storici di Roma e Lisbona, di Salamanca e Avignone, di Praga e Amsterdam tutte queste strade di vetri, metallo, cemento e negozi sembrano la stessa brutta strada! Certo vi sono strade ricche con negozi ben disegnati, ristoranti con legni, pietre fontane e luci impeccabili, certo tutto è pulito e ogni negozio, museo, albergo ha all’ingresso botticine di gel trasparente onde disinfettarsi le mani (per non portare dentro i germi del mondo o per non portate nel mondo i germi di ambienti chiusi e non respiranti?)

Tutto è efficiente come noi ce lo sogniamo, ma se anche in una cittadina di provincia, di una Nazione che ama il tabacco, fumare una sigaretta per strada è un reato ti domandi che vita è? Ciò che più ha impressionato chi scrive sono stati le migliaia di uffici nelle giornate piovose e nelle precoci sere d’autunno visti in centro, in periferia e ovunque, dal metrò, dallo sky train, dall’autobus, dal taxi, a piedi. Orbene tutti gli uffici visti erano illuminati nello stesso insulso modo: degli apparecchi rettangolari incassati a soffitto, emettenti una luce biancastra, efficiente e spettrale. Possibile che a nessuno venga voglia di mettersi una piantana, un paralume di stoffa, una applique di vetro? Insomma di lavorare sotto una calda, umanissima luce, dimmerabile e personalizzata?

Eppure il Giappone è terra di profonde tradizioni artigiane e di piccole industrie meravigliose che conoscono la preziosità del tempo, il valore della cura, la magia di un dettaglio inimitabile. In fondo a sparuti giardini zen, circondati da abnormi caseggiati e magazzini, mani gentili ancora riescono a far crescere una rosa rossa! Nell’ansia del nuovo che sembra sedurre molte società asiatiche, qualcosa si muove e un pugno di figure semi-eroiche lotta contro l’obsolescenza precoce di auto e TV al plasma cercando di traghettare nel futuro le meraviglie del passato.

Nella città di Imabari la presenza del porto e di un retroterra ricco di acque pure e di tradizioni termali ha favorito nell’800 la nascita dell’industria tessile, specializzatasi nella produzione di asciugamani. Sono teli da bagno caratterizzati da morbidezza e assorbimento superiori, grazie all’uso del migliore cotone a fibra lunga, proveniente spesso da coltivazione organica. Per andare a posizionarsi sui mercati in grado di apprezzare e pagare un prodotto di alta qualità, le 20 migliori aziende della zona (tra cui spiccano Shikoku, Murakami, Contex e Maruei) le quali complessivamente sviluppano un fatturato di circa 400milioni di euro, si sono riunite sotto il marchio Imabari Towel, progettato e coordinato dal bravo grafico ed art directot Kashiwa Sato.  Sul mare di Tsu e Suzuka, vicino al celebre tempio di Ise Jingu, il più importante santuario Shintoista del Giappone, da 600 anni le mani di grandi artigiani perforano e incidono una speciale carta con la tecnica del Katagami.

Un tempo questa carta perforata veniva usata per “serigrafare” i tessuti dei kimono. Ora che il kimono va in soffitta si propongono di utilizzarla anche per fare lampade, imprimere borse o giacche, e quindi per la prima volta un giovane collezionista coraggioso, Masaaki Okoshi, amante del design, ma non privo di senso della storia, presenta all’edizione 2010 di Maison&Object una serie, anche riproducibile, dei migliori fogli di Katagami. Coll’ausilio del design alcuni imprenditori coraggiosi cercano di dare nuovi sbocchi al frutto di antichi saperi.

Nel frattempo gli artigiani sono tutti vecchi, le autorità hanno una vetusta visione del progresso e per una scuola di giovani artigiani non riescono a trovare un piccolo budget! Ma uscendo da un bagno caldo, di cui il Giappone è maestro, cos’altro ci serve se non un morbido asciugamano e una bella luce che passa tra i fori di carta del Katagami mentre beati sorseggiamo il the?

Virginio Briatore, Il cemento e la Rosa.

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