Wendell Berry

Presentazione di Akwesasne Notes, Il giornale degli indiani americani

Per innumerevoli generazioni dall’introduzione dell’agricoltura nelle foreste dell’est americano, i popoli nativi del nord America hanno coltivato i loro raccolti senza usare l’aratro o gli altri attrezzi dell’agricoltura europea. Stranamente, anche se non c’erano quasi attrezzi, il lavoro era pochissimo. I Seneca, per esempio, zappavano i loro campi solo una volta tra la semina e il raccolto. L’agricoltura di un tempo era fatta con poco più che un bastone appuntito e una vasta conoscenza di metodi tradizionali tramandata oralmente. Le foreste nei tempi coloniali e precoloniali fornivano abbondanza di pesce, selvaggina, bacche, erbe, radici e così via. Il mondo naturale intatto è una ricca fonte per la soddisfazione dei bisogni umani locali.

Gli irochesi sono tra quei gruppi che hanno conservato molti ricordi dell’agricoltura di un tempo. Essi erano come un popolo diviso in due comunità: una di uomini e una di donne. La storia e la tradizione riferiscono che i lavori agricoli nell’economia tradizionale erano fondamentalmente il campo d’azione delle donne. L’agricoltura nativa era molto diversa da quella europea, sia antica che moderna. Per esempio si incidevano degli alberi tutt’intorno al tronco per far cadere le foglie (e fornire così una provvista in piedi di legna secca da ardere ) e gli orti si facevano fra questi alberi secchi. I semi venivano messi a gruppi su piccole collinette nel ricco terriccio della foresta, concimati quando era possibile con scarti di pesce, assistiti con poco più di un bastone e una zappa e poi lasciati crescere. Le colture preferite erano mais, fagioli e zucche.

Alcuni dei migliori resoconti sui risultati di queste coltivazioni ci vengono dai diari militari, specialmente quelli degli ufficiali che avevano comandato spedizioni contro gli indiani. I soldati americani riferirono di aver trovato grandi aree coltivate a mais, fagioli, zucche e vasti frutteti in territorio indiano. Nei loro resoconti affermarono di aver distrutto decine di migliaia di tonnellate di cereali nel 1779 nella regione dei Finger Lakes e del fiume Genessee nella zona centrale dello stato di New York. Le testimonianze sulle produzioni agricole di quelle regioni stupiranno i non esperti.

Il giorno in cui le tecniche colturali dell’occidente furono introdotte fra i Seneca è ricordato come un evento storico. Americani pieni di « buone intenzioni » (per lo più Quaccheri) avvicinarono i Seneca lungo l’Allegany River negli anni 1790 offrendosi di insegnar loro delle nuove tecniche agricole che comportavano l’uso di animali da lavoro e l’aratro di ferro. Venne condotto un esperimento su due campi vicini: uno col sistema tradizionale delle collinette e l’altro dissodandolo e sarchiandolo secondo il costume europeo. Si ricorda che il primo raccolto nel campo arato fu leggermente superiore e che perciò da allora i Seneca adottarono volentieri la nuova tecnica. Nel corso del secolo seguente, i sistemi tradizionali vennero largamente abbandonati.

Oggi arriva un messaggio da una persona di grande spiritualità del Giappone che richiama ad un serio e intensivo ritorno ad una tecnologia agricola naturale. Il libro che contiene questo messaggio è stato scritto da Masanobu Fukuoka e s’intitola: La rivoluzione del filo di paglia: un’introduzione all’agricoltura naturale ». È un libro che i popoli nativi e le persone legate alla natura farebbero bene a leggere attentamente. L’autore iniziò la sua vita di adulto come scienziato nel campo agricolo e già prima dei 30 anni Cominciò a mettere in dubbio i postulati dell’agricoltura industriale e anche di quella che era stata praticata in Giappone negli ultimi 400 anni. Le sue riserve su queste pratiche, combinate con una forte visione spirituale del mondo, l’hanno portato a sviluppare con successo un modo di coltivare che non richiede aratura, né insetticidi, né diserbanti, né sarchiature, né fertilizzanti chimici e non usa nemmeno composti organici. Lui chiama questo metodo « Agricoltura Naturale ». Anche se sorta nel Giappone meridionale, utilizzando piante appropriate al clima e alla cultura giapponese, la pratica e la filosofia di questa tecnica sono straordinariamente vicine a quelle dei popoli nativi prima dell’introduzione dell’agricoltura europea.

Certo ci sono novità di rilievo, come l’uso della paglia e la semina deliberata di leguminose come trifoglio ed erba medica, ma ci sono forti somiglianze fra le sue tecniche e i modi tradizionali di fare le cose propri dei popoli nativi. L’agricoltura europea come fu trapiantata nelle Americhe (e da allora nel mondo intero) ha sempre avuto i suoi inconvenienti. Essa infatti si distingue per quel processo di ripulitura del suolo, capovolgimento della terra e semplificazione biologica del terreno, finché una sola forma di… vita non resta nel campo. L’obbiettivo degli agricoltori europei è che la sola cosa che deve rimanere in piedi in un campo di cavoli, devono essere i cavoli. Questo processo ha posto un sacco di problemi al contadino. Arare la terra e seminarvi un solo raccolto fa diminuire rapidamente la fertilità del suolo e richiede che il terreno venga ingrassato con concimi animali, vegetali decomposti, fertilizzanti chimici o una leguminosa miglioratrice come il trifoglio. La diminuzione di fertilità porta ad un indebolimento delle piante che diventano così più attaccabili dalle malattie e dalle infestazioni da parassiti. Si discute molto nei moderni convegni sul fatto che le piante così coltivate contengono meno sostanze nutritive per chi se ne ciba di quelle cresciute in un suolo naturalmente fertile.

Fukuoka afferma che la mentalità europea, applicata all’agricoltura, ha cercato di trovare soluzioni ai problemi della produzione vegetale volta per volta invece di cercare le cause di fondo. Le sue ragioni hanno una grande forza persuasiva, sono profondamente rivoluzionarie e spiritualmente stimolanti. Egli afferma che il primo errore si fa quando si ara. Questa posizione potrebbe essere scartata come fantasia irrazionale di un romantico idealista, se non che lui ha messo in pratica quello che predica per più di 20 anni e ha ottenuto dei raccolti concorrenziali con quelli delle più moderne tecniche chimiche. La sua posizione gode di alcune verifiche storiche. L’introduzione dell’agricoltura europea presso i Seneca negli anni 1790 mise in moto una serie di processi che val la pena passare in rassegna. Secondo le testimonianze, capovolgere la terra con un aratro dava si un maggiore raccolto il primo anno. Si può pensare che quel particolare pezzo di terra fosse già naturalmente concimato, anche perché non era stato lavorato per moltissimi anni. Ma una volta capovolta la terra comparvero una nuova serie di bisogni di cui la gente raramente parla.

L’agricoltura su terra dissodata richiede la forza degli animali da lavoro e cavalli 0 buoi hanno bisogno di un ricovero, di acqua e cibo. Ne seguì quindi che molta terra dovette essere dissodata per questo scopo, cioè fu necessario seminare il foraggio e molti più cereali per provvedere il cibo per gli animali da lavoro. Inoltre diventò necessario usare i concimi prodotti dagli animali domestici, cioè il letame doveva essere raccolto e sparso sui campi. Gli uomini che per tradizione erano stati occupati nella caccia e nella pesca, adesso diventarono lavoratori agricoli, non come qualcuno suggerisce, perché il lavoro fosse troppo pesante per le donne, ma perché ci fu un così enorme aumento del lavoro che bisognava fare. Furono certamente molti i fattori sociali che giocarono in tutto questo, ma è innegabile che la quantità di lavoro in agricoltura aumentò più volte da quando fu introdotto questo modo di fare le cose. Fukuoka afferma che molto di questo lavoro non è necessario e dice che ogni volta che l’umanità interferisce nella natura (come quando si ara) le cose cominciano a andar male. Una volta arata la terra si ha bisogno di fertilizzanti, occorre combattere le erbacce e nascono problemi di tutti i tipi con gli insetti e le malattie delle piante.

Le soluzioni europee a questi problemi (concimi chimici, pesticidi, diserbanti, macchinari complicati) costano moltissimi soldi, creano inquinamento e producono un cibo degradato. Le sostanze chimiche continuano a impoverire il suolo e provocano la distruzione delle piante e degli animali. Mentre l’aumento della meccanizzazione contribuisce ad espellere dalla terra la gente che praticava una vita agricola e invece arricchisce gli industriali.

Noi siamo abituati a sentirci dire che la meccanizzazione gorta ad una vita più, ricca e facile, Fukuoka insinua invece che viviamo in un paradiso di scemi.

Le tecniche dell’agricoltura naturale, sostiene, producono gli stessi raccolti dell’agricoltura chimica e meccanizzata, sono molto meno distruttive per l’ambiente, richiedono meno lavoro e permettono alla gente di riportare l’agricoltura a dimensioni più umane. Oltre a ciò le vie naturali danno un cibo migliore e creano più ampie possibilità per un modo di vivere più giusto.

L’aspetto più forte del messaggio di Fukuoka è che non comporta particolari tecnologie, è senza limiti di tempo e parla alla natura dell’essere umano.  È un filosofo del mondo naturale, un uomo con un’enorme ammirazione per le forze della Creazione e che capisce le potenziali e storiche follie «civilizzata». Il libro è più un trattato filosofico che un manuale pratico. Spiega i fondamenti della sua tecnica che ti chiede un uso esperto di raccolti in copertura e la reintroduzione di una complessa biologia nell’agricoltura, ma riesce al meglio nella descrizione della sua filosofia della natura. In massima parte il suo messaggio potrebbe essere stato pronunziato da un Lakota, un Seneca o uno Zuni tradizionali. Che questo specifico discorso  giunga dal Giappone è una potente indicazione che i Popoli Naturali hanno un forte legame comune nel mondo.

 

Tratto da: Wendell Berry, Presentazione di Akwesasne Notes, Il giornale degli indiani americani, al libro: Masanobu Fukuoka, La rivoluzione dl filo di paglia,

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Wendell Berry

Presentación de Akwesasne Notes, el periódico indio americano

Durante incontables generaciones desde la introducción de la agricultura en los bosques de América del Este, los pueblos nativos de América del Norte han cultivado sus cosechas sin utilizar el arado u otras herramientas de la agricultura europea. Curiosamente, aunque apenas había herramientas, el trabajo era muy poco. Los senecas, por ejemplo, solo cavaron sus campos una vez entre la siembra y la cosecha. En el pasado, la agricultura se hacía con poco más que un palo puntiagudo y un vasto conocimiento de los métodos tradicionales transmitidos oralmente. Los bosques en la época colonial y precolonial proporcionaron una abundancia de pescado, caza, bayas, hierbas, raíces, etc. El mundo natural intacto es una rica fuente para la satisfacción de las necesidades humanas locales.

Los iroqueses se encuentran entre esos grupos que han conservado muchos recuerdos de la agricultura del pasado. Eran como un pueblo dividido en dos comunidades: una de hombres y otra de mujeres. La historia y la tradición relatan que el trabajo agrícola en la economía tradicional era básicamente el campo de acción de la mujer. La agricultura nativa era muy diferente de la agricultura europea, tanto antigua como moderna. Por ejemplo, se tallaron árboles alrededor del tronco para dejar caer las hojas (y así proporcionar un suministro permanente de leña seca) y se hicieron jardines entre estos árboles secos. Las semillas se colocaron en grupos en pequeñas colinas en el rico suelo del bosque, se fertilizaron cuando fue posible con restos de pescado, se ayudaron con poco más que un palo y una azada y luego se dejaron crecer. Los cultivos favoritos fueron maíz, frijoles y calabazas.

Algunos de los mejores relatos de los resultados de estas cosechas provienen de diarios militares, especialmente los de oficiales que habían comandado expediciones contra los indios. Los soldados estadounidenses informaron haber encontrado grandes áreas de maíz, frijoles, calabazas y vastos huertos en suelo indio. En sus relatos, afirmaron haber destruido decenas de miles de toneladas de grano en 1779 en la región de Finger Lakes y el río Genessee en el estado central de Nueva York. Los testimonios sobre las producciones agrícolas de esas regiones asombrarán a los no expertos.

El día en que se introdujeron las técnicas de cultivo de Occidente entre los senecas se recuerda como un hecho histórico. Los estadounidenses llenos de “buenas intenciones” (en su mayoría cuáqueros) se acercaron a los senecas a lo largo del río Allegany en la década de 1790 y se ofrecieron a enseñarles nuevas técnicas agrícolas que implicaban el uso de animales de trabajo y el arado de hierro. Se realizó un experimento en dos campos vecinos: uno con el sistema tradicional de colinas y el otro labrando y desyerbando según la costumbre europea. Se recuerda que la primera cosecha en el campo arado fue ligeramente superior y que, por lo tanto, los senecas han adoptado con gusto la nueva técnica desde entonces. Durante el siglo siguiente, los sistemas tradicionales fueron abandonados en gran medida.

Hoy llega un mensaje de una persona de gran espiritualidad de Japón que pide un retorno serio e intensivo a la tecnología agrícola natural. El libro que contiene este mensaje fue escrito por Masanobu Fukuoka y se titula: La revolución de la paja: una introducción a la agricultura natural “. Es un libro que los pueblos originarios y las personas relacionadas con la naturaleza harían bien en leer con atención. El autor inició su vida adulta como científico en el campo agrícola e incluso antes de los 30 años comenzó a cuestionar los postulados de la agricultura industrial y también la que se había practicado en Japón en los últimos 400 años. Sus reservas sobre estas prácticas, combinadas con una fuerte cosmovisión espiritual, lo han llevado a desarrollar con éxito una forma de agricultura que no requiere arado, insecticidas, herbicidas, deshierbe, fertilizantes químicos y ni siquiera utiliza compuestos orgánicos. Él llama a este método “agricultura natural”. Aunque nació en el sur de Japón, utilizando plantas apropiadas para el clima y la cultura japonesa, la práctica y la filosofía de esta técnica son extraordinariamente cercanas a las de los pueblos originarios antes de la introducción de la agricultura europea.

Por supuesto, existen importantes innovaciones, como el uso de la paja y la siembra deliberada de leguminosas como el trébol y la alfalfa, pero existen fuertes similitudes entre sus técnicas y las formas tradicionales de hacer las cosas propias de los pueblos originarios. La agricultura europea, tal como fue trasplantada a las Américas (y desde entonces en todo el mundo) siempre ha tenido sus inconvenientes. De hecho, se distingue por ese proceso de limpieza del suelo, voltear la tierra y simplificación biológica del suelo, hasta que solo queda una forma de … vida en el campo. El objetivo de los agricultores europeos es que lo único que tenga que estar en un campo de coles sea el repollo. Este proceso planteó muchos problemas al agricultor. Arar la tierra y sembrar una sola cosecha en ella disminuye rápidamente la fertilidad del suelo y requiere que el suelo sea engrasado con fertilizantes animales, vegetales descompuestos, fertilizantes químicos o una leguminosa mejorada como el trébol. La disminución de la fertilidad conduce a un debilitamiento de las plantas que, por lo tanto, se vuelven más susceptibles a enfermedades e infestaciones de parásitos. Hay mucho debate en las conferencias modernas sobre el hecho de que las plantas cultivadas de esta manera contienen menos nutrientes para quienes las comen que las que se cultivan en suelos naturalmente fértiles.

Fukuoka dice que la mentalidad europea, aplicada a la agricultura, ha intentado encontrar soluciones a los problemas de producción vegetal de vez en cuando en lugar de buscar las causas subyacentes. Sus razones tienen una gran fuerza persuasiva, son profundamente revolucionarias y espiritualmente estimulantes. Afirma que el primer error se comete al arar. Esta posición podría descartarse como una fantasía irracional de un idealista romántico, salvo que lleva más de 20 años practicando lo que predica y ha obtenido rendimientos que compiten con los de las técnicas químicas más modernas. Su posición goza de cierta verificación histórica. La introducción de la agricultura europea en los Senecas en la década de 1790 puso en marcha una serie de procesos que vale la pena revisar. Según los testimonios, voltear la tierra con un arado arrojó una cosecha mayor en el primer año. Se puede pensar que ese pedazo de tierra en particular ya fue fertilizado naturalmente, también porque no se había trabajado durante muchos años. Pero una vez que la tierra se puso patas arriba, apareció un nuevo conjunto de necesidades de las que la gente rara vez habla.

La agricultura en tierras despejadas requiere la fuerza de los animales de trabajo y los caballos o bueyes necesitan refugio, agua y comida. Por lo tanto, se tuvo que limpiar una gran cantidad de tierra para este propósito, es decir, fue necesario sembrar forraje y muchos más cereales para proporcionar alimento a los animales de trabajo. También se hizo necesario el uso de fertilizantes producidos por animales domésticos, es decir, el estiércol tenía que ser recogido y esparcido por los campos. Los hombres que tradicionalmente se habían dedicado a la caza y la pesca ahora se convirtieron en trabajadores agrícolas, no como algunos sugieren, porque el trabajo fuera demasiado pesado para las mujeres, sino porque había un aumento enorme en el trabajo que se tenía que hacer. Ciertamente, hubo muchos factores sociales que influyeron en todo esto, pero es innegable que la cantidad de trabajo en la agricultura ha aumentado varias veces desde que se introdujo esta forma de hacer las cosas. Fukuoka dice que gran parte de este trabajo es innecesario y dice que cada vez que la humanidad interfiere con la naturaleza (como al arar) las cosas empiezan a ir mal. Una vez que se ha arado la tierra, se necesitan fertilizantes, se deben combatir las malas hierbas y surgen todo tipo de problemas con insectos y enfermedades de las plantas.

Las soluciones europeas a estos problemas (fertilizantes químicos, pesticidas, herbicidas, maquinaria complicada) cuestan mucho dinero, generan contaminación y producen alimentos degradados. Los productos químicos continúan agotando el suelo y causan la destrucción de plantas y animales. Mientras que el aumento de la mecanización contribuye a expulsar de la tierra a las personas que practicaban una vida agrícola y en cambio enriquecen a los industriales.

Estamos acostumbrados a que nos digan que la mecanización conduce a una vida más rica y más fácil, Fukuoka insinúa en cambio que vivimos en un paraíso de los tontos.

Las técnicas de la agricultura natural, argumenta, producen los mismos cultivos que la agricultura química y mecanizada, son mucho menos destructivas para el medio ambiente, requieren menos trabajo y permiten que las personas devuelvan la agricultura a una dimensión más humana. Además de esto, las formas naturales brindan una mejor alimentación y crean posibilidades más amplias para una forma de vida más justa.

El aspecto más fuerte del mensaje de Fukuoka es que no involucra tecnologías particulares, no tiene límites de tiempo y habla de la naturaleza del ser humano. Es un filósofo del mundo natural, un hombre con una enorme admiración por las fuerzas de la Creación y que comprende las locuras potenciales e históricas “civilizadas”. El libro es más un tratado filosófico que un manual práctico. Explica los fundamentos de su técnica, que le pide un uso experto de cultivos en cobertura y la reintroducción de una biología compleja en la agricultura, pero es el que mejor describe su filosofía de la naturaleza. La mayor parte de su mensaje puede haber sido entregado por un Lakota, Séneca o Zuni tradicional. El hecho de que este discurso específico provenga de Japón es una poderosa indicación de que los pueblos naturales tienen un fuerte vínculo común en todo el mundo.

Tomado de: Wendell Berry, Presentation of Akwesasne Notes, The American Indian, al libro: Masanobu Fukuoka, The Straw Revolution

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